Fra gli ingredienti che meno mi stanno simpatici c'è sicuramente l'olio di
palma. In sé la povera Elaeis Guineensis
(questo è il nome botanico della pianta) non ha nulla di male. È
che il suo olio ha un costo inferiore a tutti gli
altri, così l'industria lo usa nei cibi, nei detersivi e nei cosmetici. E siccome sulla
terra siamo 7 miliardi, tutti desiderosi di mangiare, lavarci e
truccarci, per fare spazio alle sue piantagioni l’Indonesia ha già
perso 28 milioni di ettari di foresta (fonte Greenpeace). Perché
attualmente circa l’85% della produzione mondiale arriva dalla Malesia e dall’Indonesia.
Ora è il turno di Sumatra, la cui foresta è uno dei pochi luoghi
dove ancora sopravvivono gli oranghi. Ma l'industria dell'olio di
palma, insieme a quella della carta e delle miniere, incalzano: la
foresta deve essere distrutta (a proposito Avaaz ha lanciato una
petizione per fermare questo progetto
(https://secure.avaaz.org/it/aceh_rainforest_action_loc/?aIQmAbb).
Quindi dove possibile cerchiamo di evitare l'olio di palma. Ecco dove
si trova.
Nei cosmetici
Si trova soprattutto nei tensioattivi e
negli emulsionanti, per esempio gli ingredienti che in etichetta
contengono la parola Palmate, Myristate, Stearate, sono a base di
acido palmitico, miristico e stearico, che sono fra i componenti
principali dell’olio di palma.
Come evitarlo: tutti i detersivi e i
cosmetici certificati biologici (Icea, Natrue, Ecocert per esempio)
non li utilizzano. Fortunatamente anche molte multinazionali stanno
facendo marcia indietro.
Questo grafico qua sotto, pubblicato da
Greenpeace , ci dice quali sono le multinazionali della detergenza e
della cosmesi più virtuose.
Dal 2011 tutto l'olio di palma usato da
Unilever in Italia per esempio (che ha fra i suoi marchi Dove, Cif, Coccolino,
Svelto, ma anche Knorr e Algida) proviene solo da fonti certificate,
certificano cioè che non derivano dalla deforestazione
dell'Indonesia. È di questi giorni la notizia che P&G (la
Procter & Gamble ha i marchi Dash, Ace, Mastro Lindo, ma anche
Olaz, Pantene, Wella, Maxfactor) si è impegnata a eliminare la
distruzione delle foreste entro il 2020 dalle proprie filiere.
Inoltre garantirà la completa tracciabilità della materia prima, e
andrà oltre i criteri dello schema di certificazione Roundtable on
Sustainable Palm Oil (RSPO), di cui fa parte, promettendo la
protezione delle torbiere e altre categorie di foreste che la
certificazione non contempla, oltre al rispetto dei diritti delle
comunità locali.
Negli alimenti
Non si sfugge
all'olio di palma: biscotti, cracker, merendine, margarine, gelati, creme
spalmabili (ma la Ferrero ha una delle migliori politiche contro la
deforestazione del settore, parola di Greenpeace) e perfino
pasta sfoglia, frolla o per pizza già pronta.
Attenti
però, difficilmente troverete scritto chiaro e semplice: olio di
palma. Le scritte olio vegetale, grassi idrogenati, grassi
parzialmente idrogenati,
grassi vegetali NON
idrogenati e perfino mono e digliceridi degli acidi grassi sono molto spesso a base olio di palma.
Peraltro
anche da un punto di vista nutrizionale non è uno degli oli
migliori, a causa dell'alto contenuto di grassi saturi (quelli che
alzano il colesterolo), che supera il 40% del totale. Privilegiamo
allora biscotti che usano altri oli: quelli diversi dalla palma sono
sempre chiaramente indicati in etichetta come l'olio di girasole, di
oliva o, in alcuni casi, il mais.
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